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Titel
Giú le mani dalle Officine.


Autor(en)
Rossi, Gabriele; Berti, Simone; Del Don, Alan; Guerra, Stefano; Marcacci, Marco; Marazzi, Christian, Greppi, Spartaco; Mazzoleni, Oscar
Erschienen
Bellinzona 2008: Salvioni
Anzahl Seiten
176 S.
Preis
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Silvano Gilardoni

Lo sciopero degli oltre quattrocento lavoratori delle Officine FFS Cargo di Bellinzona, con il corale sostegno popolare, politico, sindacale e istituzionale che lo ha accompagnato e sorretto, è durato un mese, dal 7 marzo al 9 aprile 2008, ed è stato un avvenimento tanto eccezionale da stimolare immediatamente l’interesse dei cronisti, degli storici e degli archivisti. A pochi mesi dall’evento sono usciti nel mese di ottobre 2008 un libro e un saggio che ne assicurano il ricordo, anche grazie alle immagini, con scritti di Gabriele Rossi, Simone Berti, Alan Del Don, Stefano Guerra, Marco Marcacci, Christian Marazzi e Spartaco Greppi, Oscar Mazzoleni.

Al contempo protesta dura contro un urtante caso di gestione manageriale arrogante e verosimilmente incompetente, sollevazione cantonale contro lo smantellamento della politica regionale federale, opposizione alle politiche di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, è certo – e questi scritti lo dimostrano – che la vicenda bellinzonese non è stato un fulmine a ciel sereno e se ne possono già ricostruire in parte gli antefatti.

Il giornalista Stefano Guerra (Le Officine di Bellinzona, ultima ruota del carr(g)o, pp. 45-59) ricostruisce le tappe di una serie di decisioni politiche e di attuazioni tecniche che hanno investito il vecchio monopolio delle Ferrovie Federali Svizzere, lo hanno sottratto alla pubblica amministrazione e affidato a società anonime, lo hanno consegnato a gestioni manageriali, lo hanno smembrato in piú segmenti – ciascuno sottoposto all’imperativo della redditività immediata (e anche la lingua italiana viene brutalizzata dato che questo processo vien chiamato «divisionalizzazione» …) – e lo hanno esposto a un’agguerrita concorrenza estera. In questa sequenza di mutamenti la presenza delle FFS nel Ticino e le Officine ferroviarie ticinesi sono state investite da riduzioni dell’occupazione, ridimensionamenti, improvvisi mutamenti di rotta, investimenti avviati e non conclusi, dilatazione del lavoro interinale: tutto questo ha allarmato le maestranze, le ha rese vigili, ha fatto crescere la sfiducia e il sospetto, ha concorso a formare un nucleo di lavoratori pronti a dirigere delle lotte in difesa dei loro posti di lavoro. Finché l’ultimo annuncio – un ridimensionamento importante del comparto delle riparazioni ferroviarie nel Ticino, con licenziamenti, trasferimenti di lavoro oltre il San Gottardo e cessioni di segmenti ad imprese private – ha suscitato la ribellione degli operai. Anche per una palese sua illogicità geografica.

Una serrata critica economica delle scelte aziendali delle FFS è condotta da Christian Marazzi e Spartaco Greppi (Le mani sulle Officine. Le mani sul bene comune, pp. 149-156), che ne stigmatizzano il non dichiarato ma intuibile scopo di procedere in futuro a delle vere privatizzazioni, perché gli appetiti ci sono. Ma Marazzi e Greppi osservano che «fin dalla loro nascita le FFS hanno espresso una sintesi dei bisogni dell’economia privata, della popolazione e delle istituzioni» e che la Confederazione perdendo il controllo del comparto trasporto merci «perderebbe un tassello importante per orientare la politica economica, sociale e ambientale».

Per Bellinzona uno smantellamento delle Officine sarebbe un colpo profondo alla sua identità demografica e produttiva di città ferroviaria, come ben dimostra Gabriele Rossi, che ripercorre (Un secolo e piú delle Officine di Bellinzona, pp. 9-45) lo sviluppo edilizio legato alla linea del Gottardo, la crescita di organizzazioni operaie, le diverse fasi di crescita e di crisi lungo il secolo scorso. Il mese di lotta viene raccontato, giorno dopo giorno, da Alan Del Don e Simone Berti (I trentatré giorni che hanno unito il Ticino, pp. 61-128). Con dovizia di particolari, ma anche con qualche ripetizione di troppo, sono seguite le assemblee, le manifestazioni, gli incontri, le trattative, le attese, i timori, le espressioni di solidarietà, l’abbraccio della città e anche di una gran parte del cantone Ticino. Un dato importante, nessuno lo sottolinea anche se emerge indirettamente, è che un mese di alta tensione emotiva si è svolto senza problemi di ordine pubblico – unica eccezione la breve occupazione della stazione di Bellinzona con blocco del traffico la sera dell’8 marzo. Le ripetute denunce dell’illegalità dello sciopero pronunciate dai dirigenti delle FFS non pare abbiano suscitato particolare turbamento nel Ticino. E anche nelle immagini del libro le forze di polizia sono presenti solo con un bodyguard dei manager agli incontri con gli operai e con un alfiere del capoluogo. Questo è anche dovuto alla eccezionale mobilitazione delle forze politiche cantonali su cui riflette Oscar Mazzoleni (Un’eccezione e le sue radici: la mobilitazione politica per le Officine di Bellinzona, pp. 143-147).

Una vicenda esemplare anche per come è stata condotta: con grande capacità comunicativa, con l’uso sia dei mezzi piú tradizionali della manifestazione di piazza che dei piú moderni mezzi di comunicazione, internet e i telefonini, straordinari canali di mobilitazione che hanno sostituito il volantino. Di questi aspetti scrive Marco Marcacci (L’Officina del popolo. Simboli, riti e immaginazione sociale intorno allo sciopero, pp. 129-142). Con una acuta analisi di alcuni aspetti che segnano l’originalità della vicenda dell’Officina, rispetto ad altre lotte operaie passate – l’assenza della fraseologia della lotta di classe, la centralità del comitato operaio di sciopero rispetto ai sindacalisti sempre in secondo piano, la ritualizzazione di gesti e slogan, una leadership indiscussa fin dall’inizio, un luogo sacralizzato (vi si è pure tenuta la messa pasquale) di ritrovo, discussione, partecipazione – egli conclude che si è realizzato «una specie di ecumenismo sociale e ideologico».

Chiudono il volume alcune pagine in cui Gabriele Rossi (I protagonisti, pp. 157-174) raccoglie riflessioni e testimonianze orali di lavoratori che hanno animato e condotto lo sciopero. Ed è ancora Rossi – animatore instancabile della Fondazione Pellegrini-Canevascini che ha ottenuto dall’Archivio di Stato l’incarico di raccogliere la documentazione concernente lo sciopero – che nel quaderno n. 24 dell’AHEMO tratta il tema della conservazione dei diversi documenti e annuncia un programma di conservazione molto ambizioso, quasi feticista verrebbe da dire a proposito del «simbolo piú fotografato» della lotta, la fila di pantaloni di lavoro sospesi sulle pareti della pittureria che, scrive, «devraient être conservés comme tels».

Citation:
Silvano Gilardoni: Rezension zu: AA. VV., Giú le mani dalle Officine, Pregassona, Fontana – Bellinzona, Salvioni, 2008. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, Nr. 145, 2009, S. 155-156.

Redaktion
Veröffentlicht am
12.10.2011
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Die Rezension ist hervorgegangen aus der Kooperation mit infoclio.ch (Redaktionelle Betreuung: Eliane Kurmann und Philippe Rogger). http://www.infoclio.ch/
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